Presso il Museo della Beata Vergine di San Luca,
sabato 5 aprile alle ore 17 (ingresso libero)
saranno protagonisti i Compianti, in una conferenza del Prof. Fernando Lanzi che tratterà il tema: “Dalla Mise au Tombeau ai Calvari Bretoni passando per i Compianti”
Queste opere, nate da una miniatura illustrativa delle Omelie di San Gregorio di Nazianzo, in un codice della Biblioteca Nazionale di Parigi, presentano una grande ricchezza che, da allora, illustrò passo passo gli eventi intorno alla Passione e morte di Gesù: dall’orto degli Ulivi alla crocifissione e alla morte, la deposizione, il pianto della Madre (la Pietà), il trasporto al sepolcro, il Compianto sul Cristo morto, la deposizione nel sepolcro.
Eventi che furono anche rivissuti nelle prime sacre rappresentazioni che trovarono nel dialogo tra le Mirrofore e l’Angelo il primissimo “canovaccio” teatrale. I tre grandi compianti di Bologna: il Compianto in terracotta di Nicolò dell’Arca nell’Oratorio di Santa Maria della Vita, quello in terracotta policroma di Vincenzo Onofri, quello di Alfonso Lombardi, in San Pietro, sono gli esempi in Bologna di una eccezionale fioritura artistica in Europa, di cui i Calvari Bretoni sono uno splendido esempio, suggestivo per la ricchezza e il numero delle figure e il pathos che ne promana.
Il nostro teatro nacque dalla liturgia, sviluppando testi intercalati, che arricchivano e dando profondità e pathos al testo propriamente liturgico, più essenziale. E proprio nell’incontro fra le Mirrofore, le donne che portavano al sepolcro gli unguenti per il corpo di Cristo deposto dalla croce, e l’angelo che risponde alla loro implicita, silenziosa domanda: “E’ risorto. Non è qui” , come nella famosa sequenza Victimae paschalis, si trova pronto un canovaccio adatto ad essere allargato con tutti momenti della Passione di Gesù. Da qui vennero le laudi medievali e le sacre rappresentazioni, che trattarono i temi più toccanti della vita di Gesù, per prima la Passione poi la Nascita.
In modo assai analogo ai presepi, nacquero delle tipologie iconografiche che fissarono e scandirono i diversi momenti in gruppi statuari, che vanno dalle semplicissime deposizioni e pietà – col il pianto della Madonna sul Figlio morto – fino ai nostri Compianti, che presentano un numero – 8 – simbolico di figure, fino ai Calvari bretoni, che giungono ad avere un numero assi alto di figure e narrano l’intera Passione.
Il Compianto, detto anche in altri tempi Mortorio, é rappresentazione statuaria che fissa un momento di pausa tra la deposizione dalla croce e la sepoltura del corpo di Gesù Cristo; è momento analogo a quello che i pittori di icone direbbero: il canto funebre. Intorno a Gesù, prima che il sudario lo nasconda ai loro occhi, stanno Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo (entrambi, dopo aver seguito Gesù nascostamente, trovano coraggio davanti alla morte), la Madonna, sorretta o solo accompagnata da Maria di Cleofa e Maria di Salome, Maria Maddalena e l’apostolo Giovanni. Bologna mostra in queste sacre rappresentazioni in terracotta una solida pietà:
nel Santuario di Santa Maria della Vita vediamo il gruppo più antico, quello di Nicolò, detto dell’Arca per il contributo all’Arca di San Domenico e che qui si firma ancora Nicolò da Puglia (1464-1485); nella Basilica di San Petronio quello di Vincenzo Onofri (1495 circa); nella Cattedrale di San Pietro quello di Alfonso Lombardi (1522).
Cattedrale di San Pietro: Unico gruppo completo é questo del Lombardi, restaurato da Mauro Mazzali nel 1992: solenne e composto, dove la drammaticità si avverte nell’abbandonarsi della Vergine che vien meno e nei chiaroscuri del suo gruppo, mentre le altre figure sono solenni e composte in riflessione, preghiera, stupore. Giuseppe appoggia la mano alla guancia, Nicodemo é riconoscibile per il turbante. La pietà che ispira i compianti é simile a quella per cui nacquero i presepi contemplare pieni di stupore e insieme essere protagonisti, commossi dalla misericordia divina.
Santuario Santa Maria della Vita: Nicolò dell’Arca presenta il grido pietrificato delle donne, cui si contrappone la meditazione di Giovanni, il Teologo, e della figura in ginocchio, rivolta, quasi a provocarli, agli spettatori: per alcuni é Nicodemo, per altri Giuseppe d’Arimatea.
Basilica di San Petronio: Vincenzo Onofri presenta un momento più contenuto, riflessivo: manca Giuseppe d’Arimatea, e le figure esprimono un composto dolore.